La pressione arteriosa è la forza che il cuore imprime al sangue per farlo scorrere all’interno dei vasi sanguigni. Convenzionalmente si esprime in millimetri di mercurio (mmHg) ed è indicata con due valori numerici: il più alto corrisponde alla pressione arteriosa sistolica (comunemente denominata massima) e si riferisce alla forza con cui il cuore si contrae e spinge il sangue nelle arterie; il più basso corrisponde alla pressione arteriosa diastolica (comunemente denominata minima) e si riferisce alla pressione di rilascio che dipende dalla resistenza che il sangue incontra nei vasi sanguigni.
La pressione arteriosa non è sempre costante: in genere essa è più alta al risveglio e diminuisce durante il giorno; aumenta in caso di sollecitazioni fisiche ed emotive e normalmente – specie la pressione arteriosa sistolica – aumenta pure con l’età.
Quando i valori di pressione arteriosa superano i 140/90 mmHg – indipendentemente dall’età e dal sesso – si parla di ipertensione arteriosa, che a sua volta è un fattore di rischio per molte patologie cardiovascolari, quali: ictus, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, patologia vascolare in generale, insufficienza renale. Più elevati sono i valori pressori, più è alto il rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari e tale rischio aumenta ancora di più in compresenza di altri fattori di rischio (fumo, ipercolesterolemia, diabete o ridotta tolleranza glucidica, inattività fisica, sovrappeso o obesità, ecc…).
Durante l’esercizio fisico il sistema cardiovascolari deve rispondere in maniera adeguata per garantire l’apporto di sangue richiesto dai muscoli scheletrici. La risposta all’esercizio dipende da vari fattori tra cui: il tipo di esercizio (dinamico o statico), la posizione (supina o eretta), l’intensità dell’esercizio stesso. Durante un esercizio dinamico o isotonico la pressione arteriosa sistolica aumenta progressivamente, in relazione diretta con l’entità dello sforzo delle masse muscolari interessate, il suo aumento si protrae parallelamente all’aumento del carico di lavoro, sino a un massimo che coincide all’incirca con la capacità massimale di esercizio, per poi scendere più o meno rapidamente durante il recupero.
La pressione arteriosa diastolica, in genere, ha un comportamento bifasico: inizialmente aumenta; poi, per carichi di lavoro più elevati, scende per effetto della riduzione delle resistenze muscolari periferiche; sale nuovamente, di poco, verso l’apice dello sforzo; infine scende rapidamente durante il recupero. Durante il recupero la pressione arteriosa sistolica dovrebbe ritornare ai valori basali entro circa 6-8 minuti e la pressione arteriosa diastolica può addirittura scendere a livelli inferiori a quelli iniziali.
Nei soggetti ipertesi, ovviamente, tale comportamento può essere diverso, specie se il test viene effettuato sotto trattamento farmacologico. In tal caso, comunque, il test può fornire informazioni sulla risposta alla terapia. L’attività fisica in molti casi può efficacemente contribuire al successo del trattamento farmacologico, permettendo di ridurre il dosaggio del farmaco e/o riducendo la necessità di dover ricorrere a più farmaci per raggiungere gli obiettivi terapeutici.
Durante un esercizio statico o isometrico, si ha una contrazione muscolare senza movimento, che a sua volta dà luogo a una vasocostrizione diffusa in tutti i distretti muscolari impegnati: si osserva quindi un caratteristico progressivo aumento sia della pressione arteriosa diastolica, che della pressione arteriosa sistolica. Per tali motivi, questi esercizi sono controindicati nel soggetto iperteso.
Durante gli esercizi di tipo misto, le variazioni pressorie sono correlate all’entità delle componenti isometriche e isotoniche che compongono l’esercizio stesso. La possibilità di consigliare a un soggetto iperteso la pratica di tali attività andrà di volta in volta valutata, preferibilmente da uno specialista. Quindi durante lo sforzo la pressione arteriosa sistolica aumenta in seguito all’aumento della forza contrattile del cuore, mentre la pressione arteriosa diastolica si riduce grazie al calo delle resistenze periferiche. Se l’attività fisica è di tipo aerobico, a basso impegno cardiovascolare, e praticata in modo regolare, questi meccanismi di adattamento si traducono, durante il riposo, in una serie di benefici. Infatti, molti studi clinici hanno dimostrato che, nei soggetti ipertesi, l’attività fisica è in grado di ridurre significativamente i livelli di pressione arteriosa a riposo (mediamente di 6,9/4,9 mmHg) indipendentemente dal sesso e dal peso corporeo. La riduzione della pressione arteriosa a sua volta si traduce in una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari. Poiché l’attività fisica aerobica agisce in modo favorevole anche su tutti gli altri fattori di rischio modificabili, un regolare esercizio aerobico, opportunamente adattato, è senz’altro indicato nei soggetti con rischio globale cardiovascolare elevato.
L’ipertensione di grado lieve (140-159/90-99 mmHg), specie se sufficientemente stabilizzata e/o ben controllata farmacologicamente, non costituisce una controindicazione alla pratica sportiva.
Il programma ideale dovrebbe comunque comprendere un’attività aerobica a basso impegno cardiovascolare (intensità attorno al 50% del VO max¹) e preferibilmente a carico costante.
Poiché gli esercizi con gli arti superiori comportano in genere aumenti pressori maggiori di quelli con gli arti inferiori, potremmo inizialmente consigliare di camminare a passo normale (3 km/h), o andare in bicicletta (ad andatura di passeggiata e solo se il soggetto ha perfetta familiarità con il mezzo), o nuotare (a ritmo regolare per almeno 30-40’ al giorno, 3-4 giorni a settimana). Tali attività sono classificate tra quelle di lieve intensità, che comportano uno sforzo <55% FCmax. Quest’obiettivo minimo potrebbe essere gradualmente incrementato in funzione della risposta individuale, passando a un’attività di intensità moderata, alle quali si potranno associare esercizi di potenziamento. Esercizi d’intensità elevata non comportano ulteriori benefici, per cui si dovrebbe evitare di incrementare ulteriormente i carichi di lavoro e puntare invece maggiormente alla durata (almeno 40-60 minuti) e alla frequenza (almeno 4-5 giorni a settimana) delle sedute di allenamento.
Un problema particolare potrebbe essere dato dall’interazione con i farmaci. Infatti, mentre i farmaci antiipertensivi non modificano in genere la forza fisica sviluppata durante gli sport di potenza (peraltro controindicata come attività fisica preventiva nei pazienti ipertesi), essi possono interferire significativamente con la performance atletica durante le attività fisiche di tipo aerobico.
Infatti:
degli arti inferiori;
A fronte di questi potenziali problemi ricordiamo però che un’attività aerobica efficace può portare a ridurre il dosaggio dei farmaci necessari per un ottimale controllo pressorio. Gli studi epidemiologici hanno confermato, ormai da diversi anni, che esiste una relazione inversa tra pratica sportiva e livelli pressori. Sia in soggetti normotesi che ipertesi, un’attività aerobica, anche a modesto impegno cardiovascolare, purché praticata assiduamente, è in grado di produrre un significativo effetto ipotensivo. I benefici che si ottengono con un’attività di tipo aerobico sono:
A cura di
Linda Lindiri
Bibliografia Pasqualina Buono, Attività fisica per la salute, Idelson Gnocchi, 2017