Tra le malattie cardiovascolari vi è la cardiopatia ischemica. Con questo termine si indicano tutte quelle malattie cardiache determinate da un ridotto apporto di sangue al cuore e, di conseguenza, un ridotto apporto di ossigeno. Il meccanismo patogenetico fondamentale è riconducibile all’ostruzione e al restringimento del lume delle arterie coronarie che nutrono il cuore. Le coronarie, così come altre arterie del corpo umano, con il trascorrere del tempo sono soggette a un processo di irrigidimento e di deposizione di lipidi sulle pareti. Questo processo di indurimento e di irrigidimento dei vasi è detto processo aterosclerotico e inizia già dai primi decenni di vita. Le forme principali della cardiopatia ischemica sono rappresentate dall’angina pectoris (transitoria riduzione del flusso arterioso al cuore) e infarto del miocardio (chiusura dell’arteria coronaria con conseguente ipossia e danno irreversibile alla porzione di cuore interessata e morte del tessuto corrispondente).
Nel caso in cui il paziente ha già una diagnosi confermata di cardiopatia ischemica è definito paziente coronaropatico e può trovarsi:
Il soggetto più a rischio è il coronaropatico non noto, cioè chi non sa di esserlo. Per questo prima di iniziare l’attività fisica sarà essenziale valutare le persone potenzialmente a rischio con una visita specialistica, poiché la capacità di lavoro aerobico potrebbe essere predittiva nel paziente cardiopatico.
Una leggera attività fisica può essere utile per i pazienti con angina stabile che non sono candidati a interventi di rivascolarizzazione, nei quali la progressiva riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, ottenute grazie all’allenamento, producono un miglioramento della tolleranza allo sforzo ed una riduzione degli episodi sintomatici.
Il paziente coronaropatico che vuole iniziare un programma di attività fisica/sportiva senza avere controindicazioni, deve rispondere ad alcune caratteristiche che saranno valutate dopo una visita specialistica
La valutazione deve riguardare una serie di parametri sia personali come ad esempio l’età, il tempo a disposizione, la motivazione; sia funzionali, ovvero la patologia di base, ?̇ ?2??? 3, soglia anaerobica4, eventuale soglia ischemica5, ecc.
Prima di iniziare un programma di attività fisica, il trattamento farmacologico in atto dovrà essere del tutto efficace e stabilizzato; in questi casi è fortemente consigliata un’attività aerobica graduale.
Sulla base dei parametri indicati si potrà quindi scegliere il tipo di attività, che come già detto, sarà principalmente di tipo aerobico (es. marcia, nuoto, ciclismo, corsa, jogging, sci di fondo, in base al livello di intensità indicato).
Eventualmente, una volta che il paziente sia ben stabilizzato, potrà essere consigliata una seconda attività integrativa, da inserire gradualmente, non necessariamente di tipo aerobico, a elevata componente ludico-ricreativa (ad es. attività a maggior impegno cardiovascolare come sci alpino, sport di squadra con la palla ma preferibilmente senza contatto fisico, alpinismo, tennis nei soggetti più giovani; o attività a basso impegno cardiovascolare come bocce, golf, bowling, nei soggetti di età avanzata).
Il soggetto cardiopatico che inizia un programma di attività fisica preventiva/riabilitativa o a praticare uno sport deve attenersi a un preciso programma di allenamento, inizialmente stilato da un cardiologo, medico dello sport o da un preparatore e via via rivalutato e aggiornato sulla base dei progressi ottenuti.
La frequenza di allenamento dovrà prevedere almeno 3-4 sedute alla settimana.
La durata non è in genere un fattore limitante, tuttavia sono consigliate sedute di allenamento di 40-90 minuti (60-150 per il ciclismo) programmando, se necessario, delle pause in funzione dell’attività praticata.
L’intensità di lavoro sarà stabilita basandosi sull’età e sul risultato dei test di valutazione e sarà espressa in range di frequenza cardiaca di sicurezza: è quindi indispensabile l’uso del cardiofrequenzimetro, che può essere utile anche per il monitoraggio dei risultati del programma di allenamento.
Poiché si è detto che l’attività fisica va considerata come una terapia, andranno tenuti in considerazione sia il dosaggio (cioè: tipo, frequenza, durata e intensità degli esercizi proposti) che i possibili effetti collaterali (per lo più legati all’intensità e alla spesa energetica totale). In genere, potremmo dire che occorre fare distinzione tra i soggetti che hanno o non hanno manifestato segni e sintomi di ischemia.
All’inizio è preferibile incrementare gradualmente l’attività fisica quotidiana, ad es. aumentando il tempo dedicato a semplici camminate a passo sempre più sostenuto. Con l’avanzare del livello di allenamento, la prescrizione degli esercizi e dell’attività fisica dovrà essere aggiornata.
In generale l’esercizio dovrebbe essere praticato a un’intensità moderata, monitorando il valore della FC (frequenza cardiaca) perché, specie all’inizio dell’allenamento, a tali intensità percepite essa potrebbe essere troppo elevata, in tal caso è sconsigliabile prolungare l’esercizio.
Per i soggetti asintomatici l’obiettivo dovrebbe essere quello di riuscire a condurre tutta la sessione di allenamento rimanendo entro l’85% della FCmax (frequenza cardiaca massima); per quelli sintomatici, o ad alto rischio, o che hanno avuto complicanze aritmiche durante i livelli iniziali di attività fisica, sarebbe indicato ripetere un test da sforzo prima di aumentare l’intensità di esercizio.
Per lo sviluppo della forza resistente in genere vengono eseguiti esercizi su tutti e quattro gli arti e devono essere di tipo isotonico, mentre quelli isometrici sono sconsigliati nei pazienti cardiopatici. È consigliato iniziare con carichi tali da permettere facilmente 10-15 ripetizioni per ciascun arto. Gli incrementi dovrebbero avvenire gradualmente (1-2 kg a settimana per le braccia e 2-5 kg per le gambe) tenendo anche conto di eventuali comorbilità. Si raccomandano almeno due sessioni di esercizi per la forza resistente alla settimana.
L’attività fisica costituisce una priorità per la prevenzione ed una preziosa opportunità per la promozione della salute. L’efficacia del movimento è provata su basi scientifiche, non solo per combattere la sedentarietà, ma anche per l’azione attiva sul metabolismo, con rilevanti implicazioni epidemiologiche in termini di tutela e promozione della salute. L’integrazione del movimento all’interno di più ampi progetti di educazione alla salute appare la strategia fondamentale per diffondere stili di vita corretti e prevenire malattie multifattoriali. In una prospettiva locale e globale, infatti, esiste ormai nella comunità scientifica internazionale e nelle istituzioni sanitarie la consapevolezza che i programmi di contrasto della sedentarietà e promozione dell’attività fisica rappresentano lo strumento fondamentale per intervenire con efficacia sulle malattie cronico-degenerative, principale causa di morte nel mondo. Recenti studi dimostrano che ormai il rischio globale per la salute prodotto dall’inattività fisica ha superato il rischio derivante dal fumo di tabacco. Si calcola che l’inattività fisica sia responsabile del 30% delle malattie ischemiche cardiache.
Quindi contrariamente da quello che si può pensare una cardiopatia ischemica non è un impedimento a svolgere attività fisica, anzi, l’attività fisica è uno strumento fondamentale per migliorare il quadro clinico.
A cura di
Linda Lindiri
Bibliografia